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Nicola Amore oltre l'Ottocento
di Ermanno Corsi
Presidente del Centro Studi "Nicola Amore" di Napoli
Le celebrazioni sono pericolose. Rischiano di imbalsamare i personaggi relegandoli nel tempo in cui sono vissuti. Certo: la prima esigenza è quella di contestualizzarli, per verificare come hanno saputo responsabilmente interpretare la cultura della loro contemporaneità. Nello stesso tempo, però, è necessario verificare quanto sono riusciti, in virtù della loro azione lungimirante, a proiettarsi oltre il proprio tempo, nel senso di costituire un modello esemplare di come ci si deve comportare in ragione delle responsabilità che si sono assunte.
Ecco: Nicola Amore è una personalità che agisce con grande impegno e rigore nell’arco temporale suo proprio, ma che va oltre l’Ottocento, da lui vissuto molto intensamente in tutta la seconda parte. È qui che lascia un’impronta ben chiara come giurista; servitore dello Stato sulle frontiere più esposte quali quelle della legalità e dell’ordine pubblico; parlamentare; Sindaco ormai quasi leggendario della terza città d’Italia nella fase in cui lo Stato Unitario si è formato ma non per questo si attenuano le nostalgie della ex capitale.
Celebriamo i 150 anni dell’unità d’Italia, un secolo e mezzo fatto di transizioni tormentate e drammatiche. Nicola Amore era questore di Napoli, nel 1862, quando difese l’unità nazionale contrastando efficacemente i movimenti separatisti, le congiure borboniche, l’onorata società e il brigantaggio. Legato a Silvio Spaventa, fu allora che espresse chiaramente, senza retropensieri e tentennamenti, il suo spirito liberale cavouriano apprezzato, in sede parlamentare, dal presidente del Consiglio Bettino Ricasoli. E non fu senza significato che venne eletto deputato, la prima volta, nel collegio di Teano dove si erano incontrati Vittorio Emanuele secondo e Garibaldi.
Ma più che in sede parlamentare, Nicola Amore dimostra a Napoli di essere “uomo del fare e non del dire”. L’anno in cui diventa Sindaco è fra i più orribili: prima il terremoto di Casamicciola, poi il colera. Le oltre 7 mila vittime del 1884 fanno ricordare che, negli ultimi cinquant’anni, le esplosioni epidemiche sono state nove, con ben 48 mila morti.
Ci sono quattro quartieri da “sventrare” come disse il presidente del Consiglio Agostino Depretis. L’espressione non piacque a Matilde Serao. Con “Il ventre di Napoli” dimostrò che di altro aveva bisogno la città: risanamento urbanistico, lavoro, igiene pubblica.
Su questa linea opera Nicola Amore. Affronta le sfide del momento, dimostra che in tempi brevi si possono realizzare imponenti opere pubbliche: portare a Napoli l’acquedotto del Serino; risanare i fondaci del Porto, Pendino, Mercato e Vicaria; progettare e avviare il Rettifilo, la Galleria Umberto primo, il tunnel di Fuorigrotta. Per ottenere dal Governo la “legge speciale” dovette dimostrare che Napoli era una grande questione nazionale e che le sue emergenze non potevano essere considerate problemi localistici.
Molti Sindaci venuti dopo di lui hanno ripetutamente invocato Leggi Speciali senza riuscire, però, a farne uno strumento di modernizzazione e di progresso per la città. I milioni di Nicola Amore divennero miliardi per i suoi successori, ma tutti spesi quasi sempre in maniera improduttiva. Nessuno dei Sindaci che vennero dopo riuscì a fare di Napoli una grande questione nazionale. Qualcuno ha tentato di “portare Napoli nello Stato e lo Stato a Napoli” non riuscendo, tuttavia, ad andare oltre il suggestivo slogan.
Merito di Nicola Amore fu che riuscì, con il risanamento avviato, a creare le condizioni affinché Francesco Saverio Nitti portasse più avanti il discorso sul “risorgimento industriale” di Napoli. Si formarono i due “polmoni” di attività a occidente e a oriente, prese avvio la produzione dell’acciaio che, nei momenti più favorevoli, ha dato lavoro fra diretto e indotto, a sessanta mila persone. L’azione svolta da Nicola Amore, dopo il 1884, ha consentito a Napoli di avvalersene per molti decenni durante il Novecento. Grazie a quanto fu realizzato allora, possiamo oggi valutare più criticamente le tante occasioni colte o irrimediabilmente perdute.
Una intelligente e pragmatica operatività, sostenuta da un forte sentimento della solidarietà sociale, precisa bene, in Nicola Amore, l’ambito della politica: servire la collettività e non servirsene, incluso il rischio di un duro scontro con i poteri forti (Chiesa compresa). Se si valutano a pieno i diversi profili della singolare figura di Nicola Amore, si può tracciare l’identikit dell’amministratore pubblico che servirebbe oggi, non certo per “imbalsamare” il celebre Sindaco del 1884. Per fortuna a Roccamonfina non si tiene una “celebrazione” di Nicola Amore, ma un opportuno convegno di studio.
Ora il Comune natale chiede di avere la statua in marmo realizzata da Francesco Lerace. La prima richiesta ci riporta alla metà degli anni Settanta. Il Comune di Napoli non l’accolse allora, difficilmente può farlo oggi. La statua di Nicola Amore è un patrimonio della città che lo ebbe in grande onore come Sindaco e come cittadino illustre. Più facile, invece, che Nicola Amore, a 116 anni dalla morte, torni dov’era. Cioè al Rettifilo, nella piazza a lui intitolata, da dove venne trasferito in piazza Vittoria davanti alla Villa comunale. Era la primavera del 1938: bisognava accogliere trionfalmente Hitler nella sua visita a Napoli. La presenza di Nicola Amore avrebbe “spezzato” la prospettiva della “grandezza” del regime.
Prima che il Novecento chiudesse i battenti, e alla vigilia del Terzo Millennio, è stato l’allora ex presidente della Repubblica Giovanni Leone a sollecitare il ritorno di Nicola Amore al Rettifilo. Allontanare il grande Sindaco dalla “sua” piazza fu un inutile sgarbo. Napoli però, alcuni anni dopo, seppe vendicarsi nei confronti di Mussolini. Il Consiglio comunale revocò al “duce del fascismo” la cittadinanza onoraria che gli era stata conferita nel 1923. I regimi passano, il grande Sindaco resta.
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